Archivio per gennaio, 2015

Due gennaio

Pubblicato: 2 gennaio 2015 in Senza categoria

VICOLO DELLA MEMORIA

Adoro addobbare l’albero di Natale quasi quanto mi piace smontarlo, riporre i decori nella loro scatola, scollegare delicatamente le luci, avvolgerne con cura i fili e imbustarle separate dalle palline. Poi mi dedico all’albero, rigorosamente vero e, possibilmente, conservato anno per anno nel piccolo spazio verde che ho allestito sul vicolo di casa mia. Quest’anno sono riuscita a salvare quello dell’anno precedente dalla tramontana e dai rigori invernali ed estivi; allora con fierezza  mi sono detta che, oltre al risparmio di denaro e soprattutto di fatica – l’acquisto in serra, il trasbordo in macchina, l’altro trasbordo dalla macchina a casa con tre rampe di scaloni – avevo il privilegio di abbellire una creatura la cui esistenza era dipesa dalle mie cure. Succede così per ogni pianta che mi ritrovo in casa, le curo certo perché mi piacciono, ma essenzialmente perché mi sento responsabile  del loro ciclo vitale. Così come succede con gli animali, due gatti, e, che lo dico a fare? con le persone, siano esse familiari o alunni. In tutto quello che succede agli altri io sento il peso schiacciante della mia responsabilità. E’, senza dubbio, una cifra generazionale, comunque è la mia cifra e, soprattutto è fonte di ansie e turbamenti. Così ci azzecca la cura per l’albero, perché dopo qualche giorno che è addobbato e pimpante di sfavillii, comincio a darmi pena per la sua essenza vegetale; soffrirà il caldo, e allora preparo il ghiaccio in cubetti e ogni sera ne cospargo la terra previo sollevamento di fili elettrici e fiocchi vari; il peso dei decori può snervare i rami e allora sposto all’interno le palle e le figurine in modo che i rami più delicati non abbiano a soffrirne. Insomma alla fine, il due gennaio, dopo la cena con i familiari del primo agghindata con il luccichii di rito, mi alzo alla mattina,  mi sussurro le parole che mamma, ritualmente rivolgeva al sette gennaio – oggi sono gli Innocentini, finite le feste e i quattrini e mi rivolgo all’abete, a mio giudizio sofferente, e gli sussurro : – Caro mio, si smobilita, si torna alla serietà del verde, all’austerità del tuo vicolo che non sarà un bosco ma è pur sempre il tuo habitat. Non mi preoccupo per niente della scadenza stabilita dal festeggiamentificio nazionale (il sei gennaio), tanto i miei bambini sono grandi bambini, se ne fregano dell’albero e la befana non l’aspettano più. Allora ti riporto fuori e speriamo che la tramontana per quest’anno abbia finito il turno. In ogni caso, se dovessi cadere, sappi che io sarò pronta a rialzarti.

Mentre ripongo gli addobbi nella scatolona a fiori leggermente sbiadita dal tempo, mi perdo in considerazioni puntualmente lugubri ma necessarie che partono sempre dalla prima: mi sono stufata dei colori e delle forme, mi sono stufata della grandezza smisurata rispetto alle mie forze che scemano, il prossimo anno metterò semplicemente in mostra il piccolo alberello di vetro regalatomi da amici cari e, inconsapevolmente, previdenti. Il prossimo anno… mi dico, assalita dalla tristezza di pensare che ogni anno siamo stati inevitabilmente in meno rispetto all’anno precedente, vuoi per le bufere vuoi per le derive. A questo punto mi faccio sussultare da un sano ed egoistico blocco mentale che trascina via la tentazione di pensare al futuro. Il futuro è oggi. Sento ancora mia madre che diceva – ogni giorno ha il suo male- ma anche il suo bene, aggiungo io. Se ci sarò o meno, se le bufere supereranno le bonacce, allora io mi attrezzerò come ho sempre fatto. In ogni caso, scrivo e scrivendo mi regalo l’antidoto del “Buon anno”. Che sia come gli pare: se fosse un fiore, sceglierei un girasole, se fosse un albero una quercia, se fosse un uomo sceglierei, come ho sempre fatto, il mio.